La risposta è: no.
Fine dell'articolo.
Potrebbe bastare per delucidare e fare chiarezza ai più, ma non avrebbe senso parlarne se non fosse una tematica spesso presente nella vita delle persone e, la stramaggior parte delle volte, non presa in considerazione. Perché sì: il controllo, la prevedibilità, la pianificazione, il calcolo degli imprevisti, la prudenza sono considerate adattive ed utili per affrontare la quotidianità e porta, senz'altro, a dei vantaggi. Ma, come in tutte le cose, è la dimensione a fare la differenza.
Possiamo prevedere come guideremo l'auto per strada? Sì: sappiamo che ci sono dei limiti stradali che è meglio rispettare, bisogna prendere tutte le precauzioni per una guida sicura (controllo specchietti, allacciamento cintura, guidare rispettando la distanza di sicurezza e così via), fare un calcolo approssimativo per capire quanto tempo ci metteremo per giungere a destinazione. Un insieme di tutti questi fattori ci fa prevedere come sarà la nostra guida: se seguiamo le precauzioni ci sono probabilità alte che la guida sarà sicura; se decidiamo di infrangere le norme stradali la probabilità di sicurezza diminuisce. Questa situazione è un esempio di come un controllo sia utile nella quotidianità. Chiaramente ci sono degli imprevisti ma questi non possiamo controllarli: si tratta, appunto, di incidenti, fattori non calcolati nonostante si abbia preso tutte le precauzioni.
L'imprevisto non è controllabile per definizione: letteralmente vuol dire "non previsto". Anche se dovessimo fare una pianificazione precisa ed accurata c'è sempre una minima probabilità che un imprevisto non calcolato si presenti. Sta alle nostre strategie quotidiane su come affrontare l'imprevisto e si fa quel che si riesce: c'è chi l'affronta con grazia e c'è chi si rassegna e va avanti.
A volte, purtroppo, il non riuscire a calcolare l'imprevisto viene percepito - più che come un fattore "antipatico" - come un vero e proprio fallimento verso se stessi.
Sì, perché "è colpa mia se non ho calcolato questa cosa: dovevo farci più attenzione. Ora tutto ciò che avevo pianificato è andato in scatafascio!".
Oppure "adesso le cose andranno sempre peggio perché non mi sono preparata/o bene per questa cosa!"
C'è anche il "non sono riuscita/o a controllare questa cosa: ho ceduto ai miei impulsi. Sono letteralmente un fallimento perché se non riesco a tenermi come faccio a controllare la mia intera vita?".
Si manifestano, quindi, dei sentimenti negativi di colpa, di vergogna, di fallimento, di imbarazzo, di sensazione di non essere in grado di stare al mondo, di percezione di sentirsi completamente sbagliati. In aggiunta, le eventuali pressioni dirette - ed indirette, soprattutto - di tipo sociale ci mettono il loro carico su ciò che sarebbe giusto o sbagliato in un determinato contesto e allora noi dobbiamo soddisfare quegli standard che ci vengono imposti affinché possiamo stare bene con noi stessi.
Ma perché volere a tutti i costi controllare anche ciò che non lo è? Perché l'imprevisto fa paura: mette angoscia, ansia, irrequietudine, sensazione di incertezza e confusione.
Ai miei pazienti faccio molto spesso questa domanda quando affrontiamo insieme le dinamiche di ansia:
"Immagina di dover saltare da un burrone, alto più o meno come due piani di un condominio, a tua scelta: in uno di questi il fondo è visibile e ci sono anche dei massi un po' appuntiti dove, se salti da qui, l'unico danno fisico che potrai avere è un arto fratturato. Nell'altro burrone il fondo non si vede - in quanto scuro e nebbioso - ma ti viene detto che ci sono degli ottimi materassi morbidi che ti salveranno da un impatto doloroso.
In quale dei due burroni preferiresti saltare?".
La quasi totalità dei miei pazienti non ha avuto alcun dubbio: preferirebbero saltare dal primo burrone al costo di fratturarsi un arto. Perché? Perché analizzare l'ambiente, calcolare le probabilità, farsi una fotografia di ciò che si vede ed orientarsi nel contesto mette molta più sicurezza. Fa molta più paura non conoscere ed una cosa che non possiamo conoscere non è controllabile; una cosa non controllabile è al di fuori delle nostre capacità e questo ci mette ansia. Com'è evidente, si tratta di un ciclo dalla quale è difficile uscirne.
Ma la vera questione è la seguente: se non possiamo controllare tutto, perché vogliamo - o dobbiamo - farlo? Perché se non riusciamo a controllare anche le cose più incontrollabili ci sentiamo come un vero e proprio fallimento? I motivi sono molteplici.
Il primo fattore, forse quello più intuibile con quanto appena detto, è dettato dall'ansia: non riuscire a tenere le redini significa non sapere dove si sta andando. "E se mi trovassi in una situazione pericolosa o spiacevole?" e tutto questo viene visto come un potenziale pericolo per la propria esistenza: ritrovarsi in situazioni che non si è in grado di affrontare e allora non si sopravvive all'esperienza. L'ansia ha un compito adattivo che è quello di metterci in guardia e prepararci da potenziali pericoli, grazie ad una scarica di cortisolo e di adrenalina. Ma quando questi due ormoni sono presenti in quantità eccessive allora non ci si placa più e abbiamo bisogno di trovare un appiglio ovunque per orientarci e pensare a delle strategie perché tutto ci sembra fuori dalla nostra portata; pretendiamo, in casi elevati di stress ed ansia, anche di controllare le cose di cui non abbiamo potere perché quello che riusciamo a controllare ci sembra insufficiente.
Un secondo fattore riguarda il tema degli obiettivi che ci poniamo per un determinato scopo. Se abbiamo un traguardo da raggiungere abbiamo bisogno di tutti gli strumenti necessari; se questi strumenti ci sembrano non adeguati ne abbiamo bisogno di altri più efficienti. Vogliamo che tutto vada bene e dobbiamo essere preparati agli imprevisti e fare dei piani B e C per fronteggiare situazioni che potrebbero capitare. Ci si mette tanta dedizione a quell'obiettivo tale da non accettare che qualcosa vada storto e, se succede, ci diamo la colpa perché quell'obiettivo non raggiunto era di vitale importanza e non siamo riusciti a controllare tutto.
Ma un terzo fattore - forse il più importante e lievemente nascosto anche con i due precedenti - è il raggiungimento di determinati standard di perfezione che ci siamo imposti.
Abbiamo bisogno di essere in un certo modo, di apparire in una specifica maniera, di sentirsi amati e voluti secondo gli standard che vogliamo - o che gli altri ci impongono - e se non li raggiungiamo non siamo degni di stare in questa società. Allora si fa di tutto: ci si veste in un modo, ci si atteggia in un altro, mangiamo in modo accettabile, controlliamo ciò che diciamo e ciò che proviamo e sviarci da una minima cosa non è accettabile. Ecco che sgarrare la dieta per un giorno diventa una catastrofe, quella risata o affermazione non adatta in quel contesto diventa inaccettabile, provare una data emozione in pubblico "non è da bravi bambini" e subentra la vergogna. Non possiamo continuare a fare questi errori: ci vuole controllo estremo su tutto!
A volte ci dimentichiamo che siamo persone umane. Come tali siamo soggetti a sbagliare, a sviarci da determinati canoni, a seguire ciò che ci dicono le emozioni e la pancia - o il cuore, per una nota più sentimentale - e cercare di annullare la parte emotiva di noi stessi diventa un'impresa ardua, come andare contro se stessi. Bisogna accettare la nostra condizione fragile e non pretendere di essere degli esempi di perfezione - sia per gli altri che per se stessi.
Quindi no, non possiamo controllare noi stessi al 100%; non possiamo - e non dobbiamo - controllare gli altri; non possiamo controllare gli eventi esterni, al di fuori delle nostre capacità. Possiamo controllare secondo le nostre capacità e risorse e quello basta. E se succede un qualcosa di imprevisto? Non è colpa nostra.
Forse è il caso di lasciare qualche redine perché, a forza di restare aggrappati, si sfrega la mano e brucia tanto. Forse è il caso di prendere ciò che si riesce. Forse è il caso di credere che gli imprevisti si possono affrontare in un altro modo, invece di controllarli.
Forse è il caso di prendere un po' di respiro.
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